TIMOTEO: UN FEDELE MINISTRO

Fra gli attributi di Dio, spicca quello della fedeltà: "Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e in eterno".
Dio, il Fedele per antonomasia, richiede al credente fedeltà che è un frutto dello Spirito (Galati 5 :22). Un credente fedele è un uomo affidabile sul quale poter contare.
Se la fedeltà è richiesta al credente, ancor più deve emergere nel ministro della Parola, Dio, infatti, affida "i Suoi oracoli" a persone, capaci di comunicarle integralmente "anche ad altri".
Quando si parla di fedele ministro, il nostro pensiero va al giovane Timoteo, pastore della Chiesa di Efeso città conosciuta per il famoso Tempio della dea Diana. La sua posizione geografica, la sua cultura e l'importanza commerciale ne facevano una città molto importante.
L'impero Romano, era governato dal tiranno Nerone, famoso per aver incendiato Roma ed aver accusato i cristiani di tale crudeltà. Si pensi che in quei tempi, Roma, capitale del mondo, si caratterizzava per 14 grandi rioni e dieci erano stati distrutti dall'incendio che era durato una settimana.
La persecuzione contro i cristiani si era fatta feroce e cruenta. L'apostolo Paolo, al quale Timoteo era particolarmente legato, stava per terminare la sua corsa.
In un periodo così difficile, nel quale era possibile venir meno nella fede, Timoteo doveva rimanere fedele al suo ministerio. L'apostolo Paolo gli da alcuni consigli che ancora oggi sono validi per ogni ministro che desidera essere fedele a Dio.

 

1. Ravviva il tuo dono... (2 Tim. 1 :6)
E' in virtù della "fede non finta" che è in lui che l'apostolo esorta Timoteo a ravvivare il dono della grazia che egli possiede, vale a dire a non lasciarlo spegnere. Un dono può spegnersi per mancanza di uso. Il dono di Timoteo aveva per scopo l'esposizione della Parola, l'esortazione, l'evangelizzazione e l'insegnamento (1Tim 4 :13,14). Aveva altri aspetti senza dubbio, ma tutto sommato, corrispondeva a quello di pastore e dottore di Efesini 4 :11. Già al capitolo 4 :14 della prima epistola, Timoteo è esortato a "non trascurarlo" ; e poteva capitare che una certa timidezza di carattere, lo avrebbe indotto a cedere dinanzi a coloro che avrebbero approfittato della sua giovinezza per disprezzarlo e far valere se stessi. L'umiltà di Timoteo, probabilmente, lo induceva a trascurare il dono piuttosto che a farsene vanto. Così può trovarsi da un lato l'orgoglio della "carne" che si attribuisce il dono, dall'altro un certo timore carnale che impedisce di farlo valere, e di esercitarlo, poiché la sfiducia in se stessi e l'eccessiva timidezza sono ancora " l'io ". Stimarci meno di niente, delle nullità, ci potrebbe indurre a stimare il dono poca cosa, invece di stimarlo molto, come tutto ciò che viene da Cristo. Timoteo però correva anche un altro rischio. Davanti al fermento che c'era nella chiesa, al disprezzo a cui era esposto l'apostolo Paolo, al poco risultato che avevano avuto le sue esortazioni e i suoi insegnamenti, al male che andava aumentando al punto che i servitori del Signore erano attaccati ed esposti all'obbrobrio, poteva sembrare che l'esercizio di un dono fosse ormai inutile. Per questi motivi, ecco l'esortazione dell'apostolo a ravvivarlo, affinché il servo continuasse ad essere fedele al suo ufficio.
Inoltre lo spirito di timidezza (v.7) non è lo Spirito Santo, ma è semplicemente umano ; ed è pericoloso, anche se meno della fiducia in sé stessi. Esso paralizza la nostra energia spirituale, mentre la fiducia in sé sostituisce l'energia della carne a quella dello Spirito di Dio. Timoteo doveva dunque ravvivare il suo dono, perché Dio, dice l'apostolo, non ci ha dato uno spirito di timidezza. Esso è incompatibile con la potenza dello Spirito Santo. La timidezza è titubante davanti al proprio compito, dove invece ci vorrebbe la risolutezza, il coraggio, la fede e l'audacia che sormonta gli ostacoli e che non si spaventa della tempesta sul mare perché il Signore è lì nella barca, potente di far scendere una gran calma nel momento in cui le onde minacciano di inghiottirla.
Ciò che caratterizza lo Spirito Santo di cui Timoteo è "vaso" fedele, non è soltanto la potenza ma anche l'amore. Le anime non sono attirate a Cristo per mezzo della potenza soltanto ; ciò che le attira è l'amore. E' l'amore di Cristo che dice : "venite a me voi tutti che siete travagliati ed aggravati, ed Io vi darò riposo". Non solo, ma lo Spirito Santo è anche Spirito di correzione, ovvero di direzione. Infatti in tempo di declino della chiesa, la "potenza di Dio" è volta, più che alle manifestazioni sorprendenti, a resistere contro l'irruzione sempre crescente del male, a tenere ferma la verità, a vincere con la fedeltà della "sana dottrina" nuotando contro la corrente che trascina rapidamente la cristianità verso l'apostasia finale.
Il dono di Dio si può ravvivare con la preghiera che dà l'ispirazione necessaria ; con la meditazione della Parola che fa capire come farlo valere ; e soprattutto con la pratica mettendolo in opera quotidianamente.

 

2. Non avere vergogna... (2Tim 1 :8)
"In una grande casa (la Chiesa) non ci sono solo vasi d'oro e d'argento ma ..." Questo è quanto Paolo riporta al capitolo 2 :20 volendo intendere che purtroppo a causa di "uomini che hanno deviato dalla verità" la Chiesa centrale di Efeso era intaccata e la "testimonianza cristiana" esposta agli assalti del nemico per corromperla.
Vedendo un tale stato di cose, vedendo svanire i risultati e gli sforzi dell'apostolo Paolo, si capisce come la vergogna della testimonianza cristiana avrebbe potuto opprimere il cuore di Timoteo per quanto fosse fedele.
Oggi possiamo trarre un insegnamento da questa situazione : "Si resti pure umiliati quanto alla nostra testimonianza, ma mai quanto alla testimonianza del nostro Signore ! Questa è la nostra consolazione e l'unica risorsa in un tempo di declino ; non si tratta di appoggiarci sui risultati della nostra testimonianza ma su quella infallibile del Signore. Questa non può mai sprofondare, anche se noi ci affliggiamo con ragione sulle rovine di ciò che è stato affidato alla nostra responsabilità. Il Signore manterrà fino alla fine la Sua testimonianza, in un modo o nell'altro, fino alla Sua venuta". Timoteo vedendo in prigione il "portatore eminente" di questa testimonianza avrebbe potuto avere vergogna. No ! dice l'apostolo. Paolo non si trovava là in una condizione vergognosa (anche se il carcere era duro) ; non era il carcerato degli uomini, ma del Signore ! Dio lo teneva là proprio per la Sua testimonianza. La Sua Parola che "non può essere incatenata" usciva dal carcere, e in Paolo carcerato Cristo si è glorificato dinanzi al mondo.
Timoteo era quindi esortato a non avere vergogna, aveva sotto gli occhi l'esempio dell'apostolo che dice al versetto 12 del capitolo 2 : " soffro (per la testimonianza), ma non me ne vergogno". Ed ancora, al versetto 16 viene citato ancora a titolo di esempio un altro fedele fratello, Onesiforo che non si è vergognato delle catene dell'apostolo e questa sua fedeltà gli sarà messa in conto nel "Giorno di Cristo". In seguito, al capitolo 2 :15, l'apostolo ancora insiste su questo tema della "vergogna", determinante per la fedeltà all'Ufficio di Vescovo, dicendo di "studiarsi", di applicare tutte le energie, per far si che fosse un uomo di Dio approvato da Lui. Questo non doveva forse bastargli?
Timoteo doveva "soffrire" anche lui per la testimonianza dell'evangelo (testimone in greco è , Marturein). Soffrire non per nulla, ma per questo alto compito, per questa "Vita, ora manifestata ", che bisognava portare agli uomini affinché credendo nel "Sacrificio del Figlio di Dio", potessero essere salvati e modificare così il loro destino eterno. Non era forse stato lo stesso per Gesù Cristo ? Era forse stato ricevuto con gli onori e la riconoscenza dovuti alla salvezza che portava?
No, anzi era stato rigettato, oltraggiato e crocifisso. I fedeli dovevano partecipare a queste sofferenze che erano all'ordine del giorno, e il Signore le aveva annunciate ai suoi discepoli prima di lasciarli (Lc. 23 :31). Indubbiamente, vi erano stati dei tempi in cui i fedeli, ben uniti e stretti insieme, avevano combattuto come un esercito disciplinato, in uno stesso Spirito, con un medesimo animo e una medesima fede per il trionfo dell'evangelo.
Ora Satana sembrava avere il sopravvento, e i cristiani dell'Asia dovevano adattarsi a quelle circostanze e partecipare a quelle sofferenze speciali. Nonostante il massimo impegno, del pastore e di tutta la Chiesa, nessuno avrebbe potuto farcela se non fossero veramente stati sorretti dall'aiuto della potenza di Dio.
Possiamo imparare da questa situazione che, anche se la Chiesa in generale dovesse attraversare uno stato di crisi, la responsabilità individuale non diminuisce, ognuno deve pensare a "scampare l'anima sua", e anche se la testimonianza del fratello fosse compromessa, non ci sono scusanti, bisogna comunque cercare di dare bene la propria.

 

3. Prendi come modello le sane parole... (2Tim.1 :13)
Un'ulteriore esortazione che Paolo da al giovane ministro è quella di attenersi al modello delle "sane parole" che aveva udito da lui. In un tempo in cui la Parola ispirata non era ancora completata e tutti quelli che ne erano i portatori erano ancora sulla scena, l'insegnamento divino dato dall'apostolo doveva essere conservato intatto dal suo fedele discepolo. Egli doveva avere per sé l'insieme delle verità che aveva udite, perché è garanzia di massima fedeltà il ritenere la verità nei termini originali in cui è stata comunicata. Queste sane parole erano la "Parola di Dio", di cui Timoteo doveva conservare non solo la sostanza ma anche la forma ; erano parole ispirate, comunicate oralmente, come risalta in 1Tes 2 :13. "La sana dottrina", "il sano insegnamento" non sono altro che la Parola ispirata (Tito 2 :1). Timoteo doveva comunicare fedelmente ad altri queste parole, e quindi doveva ricordarle continuamente a se stesso come già faceva l'apostolo Paolo "... adattando parole spirituali a cose spirituali" (1Cor.2 :13).
Non erano delle parole aride, delle verità teologiche, poiché Timoteo doveva conservare quel modello "nella fede e nell'amore che è in Cristo Gesù". E' così che queste cose erano state comunicate dall'apostolo e cosi dovevano essere conservate. L'intelligenza naturale non vi entrava affatto ; la fede e l'amore che è in Cristo Gesù le comunicava al cuore e all'anima, e davano loro tutta la realtà divina. Quanto è utile per la riuscita spirituale dell'ufficio del giovane Timoteo che egli dispensi rettamente la parola della verità?
Al capitolo 3 :14 egli è ancora esortato a "dimorare" nelle cose imparate, e addirittura al 4 :2 è scongiurato a "predicarle ed annunziarle" dovunque e in qualsiasi momento. Timoteo aveva cominciato col ricevere queste verità per se stesso (2 :7). E siccome ora il vaso era colmo (2 :14), e a questo scopo era stato riempito, doveva vuotarsi a profitto degli altri.
Il tempo stringeva, la venuta del Signore era considerata imminente. Occorreva usarla questa Parola, "insistere" nella predicazione, nell'evangelizzazione a tempo e fuor di tempo senza aspettare, come anche si nota in Efesini 5 :16 e Colossesi 4 :5.
Bisognava "riprendere", toccare la coscienza, provocare il pentimento in quelli che, fino allora, erano stati indifferenti. Occorreva "sgridare" quelli che si erano lasciati trascinare dalla corrente del mondo. Bisognava "esortare" quelli che si perdevano di coraggio o diventavano timidi in presenza del traboccare del male. Questo lavoro esigeva grande pazienza, dolcezza ed anche fermezza, unico mezzo per convincere senza sollevare opposizioni. Timoteo doveva fare tutto questo, appoggiandosi esclusivamente sulle Sacre Scritture delle quali aveva avuto conoscenza fin da bambino, e sulla dottrina, contenuta in quelle "sane parole" di cui l'apostolo aveva parlato. Questa è sicuramente la parte basilare del fedele lavoro all'Ufficio di Vescovo!

 

4. Adempi fedelmente il tuo servizio (2Tim. 4 :5)
L'apostolo sembra tuonare, ad uno che poi che non era proprio del tutto sprovveduto, dopotutto esercitava il ministerio già da qualche anno: Tieni vivo il Dono ! Non ti vergognare del Signore ! Usa la Parola !
E dopo tutto questo, sarai equipaggiato per impegnare fedelmente l'ufficio ricevuto, perché tale è la condizione per avere successo e partecipare alla gloria, che il Cristo risorto e regnante tiene in serbo per i suoi servitori !
L'esortazione spesso ripetuta di "fortificarsi nella grazia" e di farsi animo, deriva dal fatto che "la sofferenza" diventa una specie di scomodo compagno di viaggio dal quale non ci si può sottrarre, ma si può però "sopportare come fa un buon soldato che sopporta la dura vita militare". L'attività di Timoteo nel servizio non può esercitarsi che "nella Grazia", elemento indispensabile, "aria" che dovrà respirare a pieni polmoni per essere ripieno di forza. La Grazia e la Verità sono venute per mezzo di Cristo (Giov.1-17). Quindi la "conoscenza" dell'Autore della Grazia è il mezzo più sicuro per resistere all'invasione del male in quanto l'avversario attaccherà sempre la Verità (3 :7,8 ;4 :4).
Abbiamo parlato delle sofferenze, parliamo ora delle fatiche e delle gioie connesse col suo ufficio. Paolo si serve di tre similitudini : del soldato, dell'atleta e del coltivatore.
Il soldato è una figura ben conosciuta dall'apostolo. Egli ha avuto molto a che fare con loro, nelle varie prigionie, nei processi, nei viaggi nelle città etc. Egli ha notato che il buon soldato cerca di piacere a colui che lo ha arruolato, non si immischia nelle faccende della vita, non si porta dietro zavorre inutili, è sempre ben allenato, scattante, le sue armi brillano etc. E' facile notare che tutto questo calza perfettamente anche per il "soldato di "Cristo", che di cuore si dedica all'Opera Sua.
L'atleta è un'altra figura ben conosciuta da Paolo, egli l'adopera ben volentieri perché è tratta dagli usi popolari della Grecia. Vita controllata nell'alimentazione, nel vestire, nei costanti e spesso duri allenamenti, il tutto sempre sotto lo sguardo vigile del Maestro. E se le regole del gioco erano state osservate qualcuno poteva anche arrivare sul podio. Per che cosa ? Per il prestigio, per il plauso degli uomini e per una corona che è corruttibile. Un esempio anche questo che calza perfettamente per "l'atleta" cristiano che vuole ottenere la corona incorruttibile nella palestra del ministerio evangelico sottoponendosi alle fatiche a volte dure dell'ufficio che copre.
Il coltivatore altra figura ben conosciuta ara, vanga, semina, annaffia, cura e infine miete o raccoglie, è a lui che spetta per primo il frutto del suo sudore.
E' vero che la fatica è dura ma poi arriva anche il frutto, il risultato, la soddisfazione e la gioia di chi, facendo l'applicazione al credente o al ministro "avrà raccolto molti covoni nel granaio celeste".
Questa gioia inizia sulla terra, anzi, sarà piena anche sulla terra, ma nel cielo sarà infinite volte più grande, inimmaginabile al pensiero umano. Quale gioia vedere le persone che si avvicinano al Signore ! Quale gioia vivere nella dignità in contrapposizione alla depravazione del mondo ! Quale gioia l'addentrarsi nella meditazione della Parola, così precisa, così piena di significato, così densa di consigli, promesse, parole di conforto, di vita, di eternità ! Quale gioia avere di che vestirsi, di che coprirsi, e di averne per grazia di Dio anche da farne parte agli altri ! Quale privilegio per Timoteo l'essere successore dell'apostolo che ha portato l'evangelo al Mondo allora conosciuto!
Non è che Timoteo aveva bisogno di ricordarsi di Gesù, ma di ricordarsene come "il Vincitore della morte", "Vivente alla destra di Dio", Colui che regna dal cielo proprio per impartire forza, sapienza e pazienza in modo da condurre i Suoi discepoli al Trionfo Finale. Questo ricordo da energia nelle difficoltà e riempie di speranza il cuore del giovane ministro, e di tutti coloro che ancora oggi assimilano queste parole, che la Provvidenza divina dispose che fossero messe per iscritto, alfine di giungere a noi in versione integrale duemila anni dopo.
Inoltre, per essere operaio fedele, "utile al servizio del Padrone", Timoteo doveva conservarsi puro ed avere comunione con quelli di cuore puro (2 :21,22) . La maggior parte delle sofferenze che hanno avversato il ministerio di Paolo e pare anche quello di Timoteo sono dovute non tanto dalla persecuzione pagana, ma piuttosto a causa dei "falsi fratelli" molti dei quali Giudei. Gesù stesso aveva parlato di "grano e zizzania". Questi falsi dottori, con fare saccente, riscuotevano anche un certo successo. L'apostolo Paolo sa che nella Chiesa "visibile", accanto ai credenti genuini, che "si ritraggono dall'iniquità", che "formano il saldo fondamento di Dio, (Chiesa invisibile, ovvero "quelli che sono Suoi")", ci sono coloro che sono di Cristo solo di nome, che restano attaccati al peccato sotto qualche forma prediletta e che sono un pericolo per la Chiesa.
L'invito dell'apostolo al suo giovane fedele Ministro, non è né ad uscire dalla Chiesa, né tanto meno a creare delle divisioni, bensì senza "litigare", con discernimento stare attento da che parte schierarsi, perché dipende dalla volontà di ognuno l'appartenere ad una categoria piuttosto che ad un'altra, l'essere un vaso prezioso o spregevole. Ad ogni modo in queste delicate questioni, Timoteo, quale conduttore di Chiesa, doveva essere ancora più accorto del semplice credente, proprio per la grande responsabilità che comportava il suo Ufficio, ed è per questo che troviamo delle frasi forti, molto dirette, quali : evita le chiacchiere... ; evita le dispute stolte... ; allontanati da costoro... ; predica la Parola... ; sii vigilante in ogni cosa... ! Un Uomo di Dio, nella posizione di Timoteo, doveva essere, con l'aiuto del Signore, deciso e mansueto, in ogni momento della giornata.

 

Conclusione
In questa lettera, Paolo sente veramente prossima la fine della sua corsa, e pare protendersi per passare il "testimone" a Timoteo suo giovane e fedele collaboratore : Io sto per essere offerto in libazione, ho combattuto il buon combattimento, ho finita la corsa, ho conservato la fede (4 :7). Ma tu, che hai seguito da vicino il mio insegnamento, la mia condotta... tu persevera nelle cose che hai imparate...(3 :10,14).
Si, sembra dire, Timoteo ora tocca a te, tu hai già fatto un ottimo "riscaldamento", ma ora prendi il "testimone" della mia esperienza e del mio esempio, parti e dai il massimo, nessuno potrà fermarti come nessuno ha fermato me, neanche questa dura prigione. (Ci) è riservata la Corona di Giustizia che il Giusto Giudice (ci) assegnerà in "quel giorno".
Con quale serenità egli va incontro alla morte, umanamente la sua situazione è quella di un vinto, incarcerato, abbandonato, eppure quale canto di vittoria in quel vinto, quale speranza in quel derelitto !
Con un tale esempio, unito a quello della madre e della nonna, con una tale convinzione, in cuore così sensibile (1 :4), quel giovane che già aveva iniziato fedelmente, proseguirà fino alla fine resistendo ai forti assalti dell'errore, e rimanendo Fedele al suo Ufficio che il Divino datore gli ha affidato!